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Jewels as Sculptures / Sculptures as Jewels Giorgio Facchini e il Festival dei Due Mondi di Spoleto

  • Immagine del redattore: Giorgia Facchini
    Giorgia Facchini
  • 3 ore fa
  • Tempo di lettura: 3 min
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Luglio 2018. Spoleto. Festival dei Due Mondi. Jewels as Sculptures / Sculptures as Jewels.

Giorgio Facchini, amico storico della città umbra, varca la soglia possente di Palazzo Collicola Arti Visive. Il grande edificio settecentesco fa da contraltare ai gioielli che l’autore marchigiano, fin dagli anni Sessanta, realizza con approccio scultoreo e attitudine da disegnatore.

La qualità esecutiva, il tema visionario e la forza espressiva caricano di contenuti la sua dialettica tra l’oro e l’arte del Novecento, lungo un percorso plastico che assimila e ricodifica l’informale di Burri, i futuristi e i surrealisti europei, lo spazialismo di Fontana, il dinamismo dell’arte cinetica e la tensione plastica del costruttivismo russo.


I pezzi in mostra dialogano con diverse opere della Collezione Carandente, creando legami virtuosi tra l’impostazione scultorea del gioiello e la valenza metafisica delle opere museali. Ne nasce un progetto unico per approccio e indagine, dimensionato in un contesto istituzionale: una splendida anomalia che narra il gioiello nel suo originale romanzo scultoreo.


Pensare la scultura come un viaggio dal micro al macro, dove non conta la dimensione ma l’equilibrio, l’armonia spaziale, la tensione complessa. I gioielli di Facchini nascono da una progettazione che somiglia ai passaggi modulari di uno scultore, quando quest’ultimo ingigantisce i disegni e ne ricava visioni spiazzanti, metafisiche, estranee all’ingaggio dei trend.


Rispetto all’arte orafa si tratta di un processo inverso, dove il disegno viene plasmato sulla misura astratta del volume concreto, dove la geometria integra avanguardie artistiche e spazi di rottura, dove l’arte diventa grammatica e non più citazione.

La grandezza dimensionale si trasforma in concentrazione spirituale: spazio centrifugo dalle prospettive aperte, nucleo di tensioni plastiche in equilibrio dinamico. Il gioiello mantiene la sua natura indossabile, ma qualcosa si aggiunge: una seconda vita dell’oggetto, museale ed esplosiva, in felice dialogo con i bozzetti scultorei di Fausto Melotti, Arnaldo Pomodoro, Pietro Consagra, Leoncillo Leonardi.


Giorgio Facchini nasce orafo ma cresce con l’idea che il gioiello possa rilasciare il quid della scultura. Da sempre ragiona con la mentalità artigiana dello sguardo interiore, del pensiero teorico, della relazione con i movimenti d’avanguardia. Non ha mai mancato di rispetto al mondo di provenienza; semmai, nell’oreficeria, percepiva la presenza vertiginosa del feticcio plastico, della piccola forma che indossa e ingloba lo spazio ampio.

Il corpo femminile rimane un luogo privilegiato, la geografia biologica che esalta la natura del gioiello; ma qui la silhouette non completa gli esiti. Il corpo appartiene a quello spazio ampio, a un contesto che fa vibrare il gioiello tra ambienti, atmosfere e connessioni energetiche.


Fin da subito lo spazio elettivo è apparso la magnifica collezione di Palazzo Collicola Arti Visive. Le teche sono così diventate un’ulteriore mappa connettiva, una sintesi di nuovi dialoghi rigenerativi tra i gioielli di Facchini, quelli di altri scultori – con opere di Arman, Pol Bury, Lucio Fontana, Roy Lichtenstein, Pablo Picasso, Arnaldo Pomodoro – e le migliori opere del patrimonio raccolto da Giovanni Carandente.

“Punto di partenza del suo stile è quello di rifarsi a qualche forma primordiale o simbolica, di dipartirsi dalla geometria ma per attivarla, secondo un’intenzionalità più intima e nascosta. E sempre, va detto, con un gusto selezionatissimo della materia, un’invenzione, una sperimentazione che poco hanno a che vedere con la nostra tradizionale oreficeria. Donde il costante interesse per la scultura, e la sua capacità di applicare al gioiello il tema spaziale della scultura, con un’intensità, una perspicuità e fermezza d’impianto che sfidano la minuzia dell’esecuzione, per quanto ricca e mirabile.”Vittorio Rubiu

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